Iran, donna si ribella a un Mullah

Iran, donna si ribella a un Mullah

Sono anni di tensione per l’Iran, il Paese confinante con l’Afghanistan ad oggi guidato dal gruppo di fondamentalisti talebani. Si parla di un governo dittatoriale, restrittivo e che segue il Corano con una visione particolarmente rigida. La situazione in cui versa l’Iran non è meno complicata, poiché la r
Repubblica Islamica è sotto la guida del presidente sciita ultraconservatore Ebrahim Raisi. Con la vittoria alle elezioni nel 2021, alcune categorie di cittadini hanno sentito vacillare i diritti da pochi anni conquistati. Proprio negli ultimi giorni hanno fatto il giro del mondo le immagini di una donna filmata da un religioso mentre, senza l’hijab, tiene in braccio il figlio malato. È accaduto nella sala d’aspetto di una clinica di Qom, sotto gli occhi di diversi altri pazienti che hanno preso le parti dell’una o dell’altro. Ma chiariamo un po’ il contesto. In Iran le ragazze sono obbligate, in pubblico, ad indossare il velo (quello che copre capelli e collo) e sono, altrimenti, passibili di denuncia alla Polizia Morale. Quest’organo di polizia religiosa esiste con certezza da più di cento anni, se pur sotto forme diverse, ma è nel 1997 che è stato ufficialmente introdotto dalla politica del Paese e la violenza da esso perpetuata è diventata, nell’ottica comune, giustificabile. Le donne “malvelate” sono sempre state picchiate, ma stavolta è stata un’altra arma a nuocere, il cellulare del Mullah, figura di spicco nella religione islamica. Nei filmati delle fotocamere di sicurezza è ben visibile la donna accovacciata dietro una parete, i capelli raccolti in una coda di cavallo e il bebè tra le braccia, mentre viene ripresa di soppiatto con l’intenzione di “farle pagare” il fatto di non star indossando l’hijab, nonostante la situazione apparisse per lei già abbastanza disagevole. Il seguito chiude lo stomaco: si alza, affida ad altri suo figlio e attacca spavaldamente l’uomo, chiedendogli sempre più disperatamente di farle vedere il telefono con l’intento, verosimilmente, di cancellare il video dalla memoria. Dopo attimi di tensione, durante i quali arrivano quasi alle mani, il Mullah esce correndo dall’ingresso dell’ospedale, con il telefono ben stretto a sé. La donna, anonima, rischierebbe, secondo le leggi iraniane, fino a dieci anni di carcere. A chilometri e chilometri di distanza è bene chiedersi se non è anacronistico assistere a questi avvenimenti, se è accettabile che ragazze, bambine e donne adulte vengano arrestate o aggredite perché non mettono il velo. Si tratta di uno degli indumenti religiosi più ricchi di storia e che merita di essere indossato solo da chi ne sente davvero il bisogno. La fede islamica non è un brutto male da sradicare, al contrario, come tutte le dottrine, non va strumentalizzata. Se c’è ancora così tanta indifferenza bisogna riflettere: sono gli occidentali i primi ad avere pregiudizi?

Roberta Monticelli