Il 25 aprile non è una festa!

Nella giornata di ieri si è celebrato l’anniversario della liberazione italiana dalla dittatura fascista per opera degli oppositori al regime. Il 25 aprile dovrebbe essere una ricorrenza solenne, un’occasione per riflettere sull’identità nazionale italiana, sulla libertà e sull’indipendenza che abbiamo ottenuto solo con innumerevoli sacrifici da parte di persone (stra)ordinarie che hanno messo a repentaglio la propria incolumità, talvolta perdendo addirittura la vita, pur di difendere un bene superiore: la patria. Eppure per molti è semplicemente un giorno in cui si sta a casa da scuola o dal lavoro, una “vacanza”. Non potrebbe essere detto nulla di più fuorviante riguardo la Liberazione, una giornata di riflessione attiva e di impegno, non di pigrizia e inerzia. Il 25 aprile non serve solo a ricordarci che in passato è successo qualcosa di orribile, cruento, vergognoso, ma anche che questo “qualcosa” potrebbe ripetersi da un momento all’altro senza un’adeguata attenzione da parte dell’intera cittadinanza. A sostegno di questo concetto si possono annoverare le parole di Gramsci, il celeberrimo antifascista che “odiava gli indifferenti in quanto peso morto della storia”, e quelle di Piero Calamandrei, firmatario della nostra Costituzione. Il primo asseriva un impegno attivo da parte di ogni singolo individuo. Infatti secondo Gramsci era dovere di ogni cittadino osservare minuziosamente gli effetti persino delle più, all’apparenza, insignificanti azioni politiche, perché solo chi tiene sempre gli occhi ben aperti e sa riconoscere un sopruso può reagire con efficacia e immediatezza. Gli indifferenti, invece, si rendono conto di trovarsi in una condizione di oppressione quando ormai è troppo tardi per agire e gli effetti nefasti sono purtroppo irreversibili o comunque, anche se risolvibili, lascerebbero delle ferite ardue da risanare. In queste situazioni gli indifferenti hanno paura e chinano il capo più di quanto non facessero in precedenza, perché l’importante è “avere il pane sulla tavola”, ossia stare bene nel proprio piccolo mondo egoistico. Di idee analoghe era il padre costituente che, nel suo discorso a degli studenti universitari milanesi del 26 gennaio 1955, incitò la giovane platea a sentire, amare e soprattutto vivere la Costituzione, un mero pezzo di carta a cui solo il pensiero e le azioni umane possono dare valore. Perché l’essenza intrinseca delle cose risiede nel valore che ogni individuo dà loro con i suoi discorsi e soprattutto con i piccoli gesti di ogni giorno, perché la Costituzione è anche quotidianità. Inoltre non bisogna mai avere la impressione che i diritti, la libertà e l’indipendenza siano scontati e imperituri, perché per ottenerli è stata necessaria una fatica immane, con anche molti coraggiosi sacrifici, e, nel corso della storia, sono stati minacciati più volte e nei modi più svariati, come – esempio noto a tutti – in epoca fascista. Ciò dimostra anche che il nemico più pericoloso non è lo straniero, ma le forze intestine che conoscono i punti deboli della nazione e della società in cui sono nate e cresciute. È il pericolo più subdolo che manipola le menti in maniera più semplice ergendosi a manna scesa dal cielo. E questo succede perché, erroneamente, si ritiene che lo Stato sia un’entità astratta e trascendente che aleggia sulle nostre teste come un dio che a volte manda benedizioni, ausili e alle volte severe punizioni inaspettate. Al contrario lo Stato è formato da ogni singolo cittadino, dal modo in cui sceglie di vivere (se onesto o non), di relazionarsi con le istituzioni, col lavoro, con gli altri individui e con i propri diritti e doveri. Lo Stato siamo noi, ecco cosa significa sentire la Costituzione secondo Calamandrei, sentirsi parte integrante di essa, credere fino in fondo a ogni singola parola che dice e metterla in pratica come fossero i dieci comandamenti. E la costituzione, l’appartenenza al popolo italiano, lo Stato, si vivono in modo totalizzante ogni singolo giorno della propria esistenza e non soltanto quel 25 aprile che sta lentamente sprofondando nell’abisso del dimenticatoio. Ricordiamo oggi e sempre perché il pericolo è sempre dietro l’angolo, ma abbiamo anche gli strumenti per difenderci.

Francesca Pia Nastri

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