Colpevole fino a prova contraria

Colpevole fino a prova contraria

Lei è nuda, tremante e talmente piccola sopra quelle pietre. Probabilmente possiamo vedere solo ciò che resta di lei. Uccisa nel grembo minuscolo, esanime a causa del loro odio, se così si può chiamare. L’hanno privata di tutto ormai. Non potrà dare la vita, quando sarà grande. Immobile, tramortita, fradicia della loro urina e del loro sperma.
Delle macchie violacee le coprono il collo, hanno provato anche ad impiccarla. Brucia dappertutto, le hanno lanciato addosso numerose lattine di birra piene.
Però Tonya ha volato, non se lo ricorda bene, ma l’hanno gettata come spazzatura da dieci metri più in alto. La vedete? Grondante del proprio sangue, lasciata a morire. “Perché non sei venuto a salvarmi papà?” Una terribile storia vera ha ispirato il bestseller di John Grisham, “Il momento di uccidere”, il racconto di una violenza sessuale perpetrata ai danni di due ragazzine minorenni. Vendetta o giustizia?
Questa è la domanda calzante che permane nella mente del lettore nel corso dell’intera opera. L’operaio Carl Lee Hailey, il protagonista, è il padre di Tonya, una bambina nera di appena dieci anni violentata da due uomini bianchi, razzisti e ubriaconi. Carl è sopraffatto da un sentimento molto forte, forse dalla rabbia, dal dolore o dalla paura di perdere per sempre la sua bambina. Intanto loro probabilmente, negli Stati Uniti degli anni 80′, non sconteranno neanche dieci anni di prigione.
Dicono che ad oggi in Italia è molto diverso, tanto poi mica veniamo a sapere che uomini come Filippo Turetta non rischiano neppure trent’anni. Carl, pervaso da una furia selvaggia, davanti a numerosi testimoni uccide gli aggressori di sua figlia. La chiamano giustizia privata, una pratica presente nella storia dell’umanità da sempre, precedente anche alla pena del taglione. Una rabbia senza tempo porta ad un’esecuzione esemplare. Neppure Achille riuscì a placare la propria ira e per mano sua morirono un padre, un principe, ma anche un assassino. È naturale, di fronte a determinati crimini, sentire l’ardore della rabbia, un ribrezzo cocente per le peggiori nefandezze dell’essere umano. La domanda che tormenta l’avvocato della difesa del romanzo, Jake Brigance, è logica anche per tutti noi: “come avrei reagito io se fosse capitato a mia figlia?” Eppure in una società civile farsi “giustizia” attraverso la violenza non ci rende migliori o diversi dai brutali stupratori di questa storia. Perciò cosa dovrebbe essere la Giustizia? Un sistema in cui le vittime ricevono più attenzione, nel quale determinati criminali incorrono nelle dovute sanzioni, non scappano e restano latitanti per vent’anni. La Giustizia può dirsi per tutti quando la legge è un riflesso del nostro tempo, quando deriva da occhi che sono semplicemente umani? La nostra ansia di verità e di giustizia su cosa si regola? Sulla paura, sull’odio o ancora sull’istinto alla compassione?
John Grisham ci porta a riflettere in merito ad atti che sono difficili da immaginare e ci costringe ad affrontare realtà insopportabili. Davanti allo specchio maledettamente crudo e prepotente della storia raccontata, voi avreste il coraggio di considerare Carl Lee Hailey colpevole?

Chiara Ricciardi