Più di un semplice numero

Più di un semplice numero

Le ultime settimane di giugno: odi et amo. Non avrei saputo descrivere più accuratamente ciò che noi studenti proviamo per questo particolare periodo dell’anno. È il mese degli ultimi scrutini, gli esami, i nodi che giungono al pettine. Come ogni conclusione che si rispetti, si tirano le somme e ci si meraviglia di come sia volato il tempo: è finito un altro anno.
Mi sembravano doverose due parole. Martedì 18, tutti i ragazzi (o comunque la maggior parte) si sono rivolti ad Argo per conoscere gli esiti degli scrutini. Le reazioni sono state delle più svariate: c’è chi ha esultato per essere stato ammesso perché quel 4,5 era passato, magicamente, a 5. Chi, leggendo quel “sospensione del giudizio”, ha esultato comunque perché il voto più alto che aveva era  proprio 4,5. E poi c’è anche chi, leggendo i crediti che gli erano spettati, ha alzato un sopracciglio. Non so se sia stata proprio questa la reazione ma, di sicuro, è stata la mia quando ho letto la pagella.
Un po’ di tempo fa ci perdevo davvero il sonno dietro i voti. Incominciavo a fare la media dai primi compiti corretti di febbraio. Così fino a maggio: calcolatrice alla mano, mi facevo mille conti per cercare di arrivare a quel numeretto che desideravo e che credevo fosse quel che contava. Niente di più sbagliato. Nient’altro avrebbe potuto insultare il mio impegno e la mia intelligenza più di quella media matematica che mi ostinavo a curare. Adesso l’ho capito.
Il voto dovrebbe essere simbolo, non traguardo, non meta. Perchè, diciamocelo, dopo aver passato mesi a preparare un compito, un 7 non fa schifo a nessuno. Ma non è tanto il 7 ad essere importante, quanto piuttosto il duro lavoro che c’è dietro. Questo ha senso.
E se, poi, dopo tanto impegno quel 7 non arriva? Le strade sono solo due. La materia particolarmente insidiosa o un professore che non riesce a rendersi conto del progresso. Nel primo caso, la risposta sarà sempre impegnarsi ancora di più: ma non per quel benedetto 7, come vi dicevo, non serve a niente. Più che altro, per quanto vi fortificherete scontrandovi con una materia difficile. Alla fine, quando ce la farete – perché ce la farete – penserete davvero di poter fare tutto. E poche cose sono capaci di darvi questo.
Nel caso del professore dormiente invece..beh, il discorso è più o meno lo stesso. Anche i mancati riconoscimenti fanno crescere. Certo, se ripetuti nel tempo possono scoraggiare e qualche volta potrebbero farvi dubitare di quello che effettivamente volete. Ma la buona notizia è che vi insegnano una cosa importante: non tutti, non sempre, crederanno in voi. Se sarete abbastanza maturi però, capirete che, alla fine, l’importante è sapere di aver dato il massimo. Solo così non avrete niente da rimproverarvi.
I ragazzi di quinta, quando uscirà quest’articolo, avranno terminato le prove scritte e si staranno preparando per l’orale. Magari qualcuno avrà anche già colloquiato, chissà. Siamo tutti curiosi di sapere come andrà a finire con le buste di Maria De Filippi. Quel che di sicuro sappiamo è che, come sempre, ci saranno studenti più tranquilli di altri. Studenti che, al posto di andare al mare, si staranno tormentando perché non sanno da dove iniziare a ripetere e altri che avranno già finito. Sì, perché è tutto più semplice quando i prof danno indicazioni precise.  Noi, del resto, lo sappiamo bene che a scuola ci si inventa anche prestigiatori se serve..ma questa è un’altra storia.
Tu – che stai leggendo questo articolo per procrastinare ulteriormente lo studio (feel you), per rilassarti tra un tuffo e l’altro o semplicemente perché questo giornale già ti mancava – lascia che ti dica una cosa: non sei un numero. Qualsiasi sia stato il tuo voto di ammissione, la media con cui hai concluso l’anno, o i crediti che ti sono spettati, se hai dato il massimo, va bene così. Come mi ostino a ripetere, sei molto più di un numero. Non permettere a niente, e a nessun sistema mal gestito, di farti credere il contrario.
Chissà, forse, la maturità serve anche a questo. Arrovellarti fino alla fine per raggiungere quel voto massimo solo per comprendere, infine, che non era quello l’obiettivo. Piuttosto, quanto sei cresciuto nel raggiungerlo.

Maria Rossella Capolungo