Donne e sport: una corsa ad ostacoli

Donne e sport: una corsa ad ostacoli

Non servono grandi mezzi quando è ben chiaro l’obiettivo da raggiungere: arrivare al traguardo. I brutti pensieri non trovano spazio nella quiete, esisti solamente tu con il tuo numero dietro la schiena. L’ambiente sportivo è ricco di momenti particolari, ma la sensazione di gioia davanti al risultato sperato è unica. Nonostante lo sport accomuni milioni di persone nel mondo, è evidente la presenza di stereotipi di genere, e gli elementi che portano la modernità corrente a questo fuorigioco sono numerosi. Sin dall’infanzia è chiaro come la società divida lo sport per genere e sono molte le situazioni in cui i genitori cementano queste differenze e limitano la passione dei propri figli; come per alcune bambine, che sono costrette a seguire interminabili lezioni di danza pur desiderando solamente di seguire i propri fratelli in cortile per giocare con loro agli “sport da maschio”. Una cultura sportiva ricca di pregiudizio è l’ulteriore prova di un sistema che, invece di valorizzare le potenzialità, mina a schiacciarle per individuarle in un canone a sé stante. Vogliamo davvero un mondo dove i giovani non possano essere liberi di scegliere, di sognare spettacoli e, magari, anche grandi traguardi come le Olimpiadi? Se tutti condividessimo questo modo di pensare oggi non avremmo avuto ballerini talentuosi come Roberto Bolle e campionesse mondiali di kick boxing come Clara D’Anna. Inoltre non trascuriamo di denunciare il fatto che, molto spesso, le atlete non ricevono il giusto riconoscimento e sono di frequente sottorappresentate, scarsamente tutelate e sottopagate.
“In Italia lo Sport femminile non ha ancora lo stesso diritto di cittadinanza dello sport maschile” ha affermato Luisa Rizzitelli, fondatrice e presidente di Assist (Associazione Nazionale Atlete). “Basti dire che nessuna atleta in Italia può avvalersi della Legge 91 dell’81 sullo sport professionistico. Tutte le atlete sono considerate dilettanti. Da quindici anni chiediamo una nuova legge per eliminare questa assurda discriminazione. Adesso è arrivato il momento di dire basta”.
Di fronte a questo Medioevo, non ci stupiamo se esponenti politici come Felice Belloli si esprimono con frasi oltremodo vergognose: “Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche”. Ma, per quanto deludere le aspettative del signor Belloli ci dispiaccia, proprio negli ultimi tempi il calcio femminile è passato al professionismo, avviando un percorso che garantirà maggiori diritti e tutele alle lavoratrici sportive. Lo sport che amiamo è caratterizzato da valori come la parità e mira alla costruzione di una sana competizione senza barriere; ma per fare in modo che queste componenti non si dimentichino è necessario affrontare la realtà. Perciò fate un respiro profondo e indossate le vostre AirPods. Incomincia la corsa, ed è lo sport libero il nostro traguardo.

Chiara Ricciardi