Il valore della vita

Il valore della vita

‘’Mamma voglio fare l’attrice!’’. Saranno state queste le parole di Elizabeth Short, ventiduenne di Boston che nel 46’ decise di recarsi a Los Angeles per inseguire la strada dei sogni? Non lo sapremo mai, perché proprio nel posto in cui credeva di poter spiccare il volo verso la grandezza, perse la vita. A questo punto, vorrei fermare la mia scrittura per parlare della sua bellezza, della sua gioia, della sua intraprendenza e sfrontatezza. Ma non posso restare in silenzio, e anche se questa non è una bella storia, necessita di essere raccontata. Elizabeth è stata uccisa tre volte: dal suo carnefice, dalla stampa e dall’indifferenza.
Era il 15 Gennaio del 1947. Una donna stava passeggiando con la figlia di tre anni quando intravide quello che le sembrò essere un manichino, ma guardando meglio, si accorse che si trattava di un cadavere; allora chiamò le autorità. Ebbene si, Elizabeth era morta, ma come?
Il cadavere era in terribili condizioni: nudo e squarciato in due parti all’altezza della vita, mutilato e con vistosi segni di tortura; con i capelli tinti di rosso ed il sangue lavato via accuratamente dal corpo. Il volto era segnato da un profondo taglio che si estendeva da un orecchio all’altro, creando l’effetto chiamato Glasgow smile, cioè un sorriso alla Joker. Nonostante l’orrore, il suo assassino non venne mai catturato.
Ironicamente, in questo modo Elizabeth divenne famosa come desiderava; venne detta ‘’Black Dahlia’’, per via della sua bellezza e del suo modo di vestire tendente al nero. I giornali erano affascinati dalla sua morte e diffusero le foto del cadavere, e più che essere indignati dal delitto, sembravano interessati a scoprire la sua vita passata, ciò che – secondo loro – Elizabeth aveva fatto per venire uccisa così brutalmente.
Iniziò così una confusa ricerca dell’assassino, cosa non facile dato che la scena del crimine era stata contaminata dai curiosi, giornalisti e poliziotti stessi. Attualmente il caso è ancora aperto, dal 1947.
Se abbiamo finito il nostro viaggio su questa finestra? Lo vorrei davvero, ma non è così.
É il 9 febbraio 2020, siamo in Messico; Ingrid Escamilla ha solo 25 anni quando viene pugnalata a morte, scuoiata e sventrata dal compagno violento di 46 anni.
Un’altra storia triste, ma ciò che accomuna le due donne è qualcosa che va oltre la morte violenta: si tratta di Pornografia del dolore.
Come quelle di Elizabeth, anche le foto del cadavere di Ingrid sono finite sulle testate giornalistiche; in particolare il ‘’Pàsala’’ ha intitolato l’articolo con la didascalia: ‘’ Tutta colpa di Cupido’’. Così anche Ingrid è stata ammazzata tre volte e la sua colpa è stata – secondo la stampa – l’ ‘’amore’’.
La pornografia del dolore è sempre esistita ed è strettamente legata al giornalismo. Ma cos’è esattamente? È la ricerca di immagini violente che ci rendano assuefatti e provochino emozioni immediate, ma che catturano solo la brutalità senza contesti o spiegazioni. C’è un limite che ogni giornalista dovrebbe porsi: fino a che punto posso spingermi? Perché essere responsabili di un’informazione lecita comporta una grande consapevolezza: strumentalizzare l’omicidio di una persona per soldi e notorietà va contro i diritti umani.
Eppure, per Ingrid, questa volta la situazione è andata diversamente.
Mentre la storia di Elizabeth è caduta nel silenzio di una grande ingiustizia, in parte anche a causa del periodo storico, questa volta si è alzata la voce giusta nel sistema di prepotenza: le foto hanno scatenato una forte reazione, non solo dagli attivisti per i diritti umani, ma dall’ intera opinione pubblica. Anche le istituzioni sono intervenute (tra cui l’ONU), in marcia contro la violenza.
Con questo articolo, abbiamo trattato la storia di due donne con una sorte avversa, segnata dall’incontro di un mostro. Quando ci capita di leggere su giornali e social tali avvenimenti, il mondo sembra fermarsi, un brivido fugace attraversa le nostre menti: la paura verso l’altro. Domande lecite ci colpiscono: sono davvero lontani i pericoli? Siamo così diversi da queste donne? Da queste vittime? Se domani qualcuno che amiamo si ritrovasse su quella copertina, “per colpa di Cupido”, come ci sentiremo? Siamo tanti tasselli di carta vetrata, frangibili e sfuggenti, ma di fronte alla morte di un’innocente, ci accomuna la consapevolezza dell’ingiustizia avvenuta e la facoltà di dover fare qualcosa.
Abbiamo dimostrato che il male cresce con la società e vi chiediamo ora di riflettere per lottare e prevenire la violenza ed anche la pornografia del dolore.
Che si ricordi il valore della vita, da oggi e per sempre.

Chiara Ricciardi