Il più grande suicidio di massa della storia

Il più grande suicidio di massa della storia

Il 18 novembre del 1978 morirono a Jonestown, in una colonia agraria vicino al paese di Port Kaituma, 913 persone, tra uomini, donne, anziani e bambini. Facevano tutti parte del People’s Temple, “Tempio dei Popoli”, un culto che si era sviluppato intorno al predicatore statunitense James Jones. Ciò che è accaduto quel pomeriggio è ancora oggi considerato come il più grosso suicidio di massa della storia. James Warren Jones nacque il 13 maggio 1931 nella cittadina di Crete, in Indiana. Il padre era un reduce della Prima Guerra Mondiale e la madre un’operaia impegnata nel sindacato; entrambi i genitori non erano credenti, ma Jim diventò ugualmente un membro della comunità pentecostale, attratto dal loro metodo di adorazione ‘fisico’ e concreto. A soli 16 anni predicava il Vangelo dell’uguaglianza davanti a Dio, nei sobborghi neri di Richmond, in Indiana, dove si era trasferito insieme alla madre a seguito della separazione dei genitori. Alla fine degli anni Quaranta, la segregazione razziale era strettissima e si stimava che, in città, circa metà della popolazione maschile adulta fosse appartenuta per un certo periodo di tempo al Ku Klux Klan. I sermoni di Jim Jones parlavano principalmente di integrazione razziale e giustizia sociale.
Jones diceva spesso: – L’ora in cui c’è più segregazione razziale in America, è l’ora di preghiera della domenica mattina -.
Dopo le funzioni, accompagnava di persona i membri neri della sua congregazione nelle chiese dei sobborghi bianchi, dove questi provavano ad assistere alle funzioni nonostante l’accoglienza ostile. Insieme alla moglie Marceline adottò molti bambini, anche afroamericani e di origine orientale. Le sue battaglie e il successo della sua congregazione lo resero così noto ad Indianapolis che, nel 1961, il sindaco Charles Boswell lo nominò a capo della Commissione per i Diritti Umani.
Quando poi Jones tornò in Indiana, predisse che l’Unione Sovietica avrebbe lanciato missili a testata nucleare negli Stati Uniti il 16 luglio 1967 ed invitò i membri della sua congregazione a trasferirsi nel Nord della California. All’inizio dell’estate del 1965, decine di famiglie decisero di seguire Jones in un viaggio di centinaia di chilometri, diretti a Ukiah, California.
‘’La Bibbia uccide’’, queste erano spesso le sue parole, sosteneva infatti che l’adesione troppo fedele al testo risultasse pericolosa. Scrisse anche un libro, dove si auto-definiva il Messia del Cristianesimo e, durante i suoi sermoni, arrivò a gettare a terra copie del libro sacro e a calpestarle.
Dopo qualche anno nella giungla della Guyana, i suoi fedeli erano fermamente convinti, da anni di sermoni, che la Bibbia era stata scritta dai bianchi per giustificare la schiavitù e l’oppressione dei neri. Le comunità religiose di Jones rimanevano attivamente impegnate nell’aiuto agli emarginati e ai bisognosi di San Francisco e di Los Angeles, a cui offrivano cure mediche, cibo, aiuto legale e percorsi di disintossicazione.
A partire dal 1974, Jones iniziò a lavorare al nuovo progetto di una comunità agricola in Guyana, un paese del Sud-America nord-orientale. Inviò alcuni fedeli nel paese, su un terreno acquistato da lui, perché iniziassero a lavorare l’appezzamento nel cuore della giungla. Dopo diversi mesi di lavoro durissimo, per liberare il terreno dalla giungla tropicale, la comunità era un insieme di baracche e campi ritagliati in mezzo alla densissima foresta equatoriale, a qualche chilometro dal piccolo villaggio di Port Kaituma; ma i resoconti che arrivavano negli Stati Uniti al resto della comunità dei fedeli, accuratamente suggeriti da Jones, parlavano di un luogo meraviglioso, nel cui clima perfetto le donne partorivano senza dolore.
Nel mezzo delle sue discussioni contro i nemici veri o presunti della comunità, spesso lunghe, incoerenti e violente (Jones usava da anni parole volgari e oscene anche durante i sermoni), il predicatore parlava della necessità che i fedeli iniziassero a “programmare” la loro morte. Diceva che un evento così importante doveva essere programmato perfettamente e che nulla doveva essere lasciato al caso. In un discorso del 21 dicembre 1977, Jones disse che tutto questo bisognava farlo “per la vittoria del popolo, per il socialismo, per il comunismo, per la liberazione dei neri e per la liberazione degli oppressi”.
A Jonestown, Jones chiamò a raccolta tutti gli abitanti della colonia con gli altoparlanti. E, quando tutti furono sotto il padiglione, annunciò che era giunto il momento di commettere il “suicidio rivoluzionario”. Il discorso di Jones fu lungo, durò oltre tre quarti d’ora. Jones registrava spesso i suoi sermoni e lo fece anche quella volta: era lui stesso che azionava la registrazione, evitando le parti più “scomode”. Il discorso, quel pomeriggio, iniziò al passato: ‘’How very much I’ve loved’’ ‘’ Vi ho amato veramente tanto ‘’.
Fece portare un grosso bidone, posto su di un tavolo davanti al padiglione: al suo interno c’era un liquido rosso scuro, una mistura di succo di frutta, cianuro di potassio, Valium, idrato di cloralio (un anestetico) e cloruro di potassio. Vennero portati bicchieri e pacchi di siringhe, poi si misero tutti in fila davanti al tavolo. Jones aveva ordinato di cominciare a somministrare la bevanda ai bambini. Dopo aver bevuto, le persone si sedevano tranquillamente nei campi vicino al padiglione, molti di loro in lacrime. Alcune persone opposero resistenza, qualche bambino iniziò a piangere disperatamente. Jones ed altri salirono sul palco e, mentre l’avvelenamento continuava, dissero che morire era paragonato ad “un po’ di riposo” e rassicurarono i presenti sulla vita migliore che li aspettava.

Alessia D’Amaro