The Woman Rasputin

The Woman Rasputin

Quand’è che un culto o una religione diventa fanatismo? Probabilmente quando si perdono di vista i principi fondamentali sui cui è basato, estremizzando i dettagli e distorcendoli a proprio interesse. Tralasciando le sette a scopo sessuale o di truffa, la maggior parte dei culti e delle religioni professa la fratellanza, il sostegno reciproco, il perdono e l’amore per il prossimo: tutti principi ineccepibili, eppure ogni religione nella storia ha provocato morte e distruzione. Perché succede questo? Sono davvero tantissimi i motivi: intolleranza, odio, denaro, potere, ma uno dei peggiori è l’indottrinamento estremo. Ancora oggi, paradossalmente, a capo di alcuni culti ci sono persone che compiono atrocità nella convinzione di fare del bene: ne fanno da esempio gli esorcismi fino alla morte del soggetto o i suicidi di massa, ma la lista potrebbe andare avanti per parecchio. Il concetto è che spesso la mente delle persone è talmente vulnerabile da convincerle che un’opera malvagia sia necessaria per ottenere la grazia divina.
Uno dei moltissimi esempi fu probabilmente quello di Mariam Soulakiotis, una donna che per mantenere il rigore e la dottrina ferrea del suo ordine uccise 177 persone, per lo più donne: era talmente presa dal suo ruolo che torturò, affamò, punì e uccise i suoi stessi seguaci in nome della devozione a Dio. Mariam Soulakiotis nacque nel 1900 nelle campagne intorno ad Atene e crebbe in una famiglia contadina molto povera e profondamente religiosa. La sua infanzia non fu segnata da tragedie o problemi familiari, ma nel 1923 le venne offerta una scappatoia alla sua vita fatta di miseria: un monaco greco, Padre Matthew, nel 1920 aveva istituito una setta religiosa chiamata “I nuovi Calendaristi” e aveva fatto edificare un convento di suore circa 30 km a sud-est di Atene, nei pressi di Keratea; alla ragazza offrì, quindi, la possibilità di accedere all’ordine e di aiutare a gestirlo, previo un piccolo periodo di noviziato. Padre Matthew era un greco ortodosso in dissidio con i calendaristi e per protesta aveva fondato la sua setta così da riportare i principi di povertà, devozione e disciplina che secondo lui erano venuti a mancare nella comunità a cui apparteneva. Creò quindi un convento di suore e un monastero di frati affinché i suoi principi venissero insegnati ai praticanti. Il monaco rimase a capo delle due istituzioni fino al 1939, quando morì ultraottantenne. In quegli anni Mariam scalò velocemente i ranghi della setta grazie al suo carattere forte e autoritario e, alla morte di Padre Matthew, prese il comando fondendo i due monasteri in un unico culto e dando vita ad una politica molto rigida. La madre superiora iniziò un reclutamento a larga scala inviando monaci e monache soprattutto alle case di gente facoltosa. Il loro predicare ottenne un certo successo tra le donne che, convinte a seguire il culto, vennero raggirate al punto di abbandonare la loro vita mondana ed ogni bene terreno in cambio della clausura in convento, nella speranza della salvezza eterna. Convinte da Mariam Soulakiotis di essere peccatrici destinate all’inferno, le donne vennero totalmente assoggettate al culto: passavano giorni in preghiera o meditazione senza dormire, si flagellavano o frustavano per autopunizione, mantenevano il rigido silenzio e soprattutto devolvevano le loro proprietà alla setta per dimostrare la loro cieca fede. Qualcosa però col tempo cambiò e quella che era nata come una scelta volontaria di clausura divenne una prigione infernale dove, una volta cedute le proprie ricchezze al culto, si veniva torturati fino alla morte. Nel 1949, gli abitanti dei villaggi locali cominciarono a spettegolare su urla e pianti disperati provenienti dal convento: Mariam Soulakiotis dominava i suoi discepoli in ogni aspetto della loro vita, tagliando il loro contatto con i parenti, ingabbiandoli come animali e ricorrendo alla fame, alla fustigazione e alla tortura per “eliminare da loro i demoni”. Il culmine fu raggiunto quando una donna molto influente di Tebe si unì al culto con le sue quattro figlie: tutte e cinque morirono nel giro di sei mesi dal loro arrivo, ma prima che la donna spirasse, una notte le sue urla furono udite per caso da due abitanti del villaggio ubriachi che passavano da quelle parti. I due scalarono la recinzione e videro la donna incatenata a un muro, coperta di sangue e con segni evidenti di frustate e tagli su tutto il corpo. I due denunciarono il fatto alle autorità e, nei primi mesi del 1950, Mariam Soulakiotis venne arrestata con ventitre capi d’accusa che comprendevano omicidio, frode, appropriazione indebita, rapimento, tortura e aggressione.
Nel settembre del 1951 iniziò il processo a Mariam Soulakiotis, ma non si svelarono le prove degli omicidi perché non vennero ritrovati corpi all’interno del convento e molti di quelli seppelliti nel cimitero locale vennero giustificati come accidentali.
Dai registri della madre superiora, però, il procuratore Andreas Papakaris scoprì che circa 500 persone che avevano aderito ai nuovi calendaristi risultavano al momento scomparse: ciò bastò ad una condanna di sedici anni di carcere. Solo successivamente, quando si aprì il processo ad otto suore e un falso vescovo, si riuscirono a collegare le morti alle attività della donna: gli imputati vennero accusati di ritenuta di cibo e mancanza di cure mediche ad un monaco e tre suore, causando la loro morte con lo scopo di ottenere le proprietà. Ovviamente loro scaricarono la colpa sulla madre superiora ed in virtù della loro testimonianza ebbero un forte sconto di pena. Il 6 febbraio 1953, la Soulakiotis subì un aumento di pena di 10 anni di prigione, una delle suore imputate ricevette una condanna a 10 anni, un’altra, considerata un’esecutrice, di 3 anni, e il falso vescovo solo un anno di carcere.
Mariam Soulakiotis fu nuovamente sottoposta a processo con l’accusa di appropriazione indebita, frode e detenzione illegale, ma scontò ben poco della sua pena perché morì in carcere nel 1954, all’età di 71 anni.
Solo successivamente, nei dintorni del convento di Keratea, vennero trovate delle fosse comuni con decine di corpi ammassati dei seguaci del culto, per lo più donne. La stima fu di 177 morti, ma si pensa tutt’ora che vi siano altri corpi da scovare.

Alessia D’Amaro