Un’altra delle nostre

Un’altra delle nostre

Scafati, Stazione della Circumvesuviana, ore 8:40. Una cinquantina di studenti sta per prendere il treno. Destinazione: Napoli, Piazza Garibaldi. Cosa staranno combinando, stavolta?
Buffo, ma è questo che devono aver pensato quegli anziani signori che ci guardavano con sospetto stamattina. Chi non lo farebbe se vedesse un gruppo di giovanotti con striscioni e tempera verde sulle guance che si accinge a prendere il treno.
Ma la vera domanda è, chissà se hanno capito che il loro mondo sta bruciando. Forse si accontentano di guardare, forse lo trovano divertente. Noi non la pensiamo così.

Per la terza volta, in centinaia di città da tutto il mondo, le persone scendono in piazza per il Global Strike For Future. Un’iniziativa per sensibilizzare la popolazione tutta su quanto sta accadendo al suo pianeta. Forse questo è il problema. La Terra l’abbiamo sempre considerata di nostra proprietà, arrogandoci il diritto di farne quello che volevamo. Inquinare, sfruttare, dilaniare. Rispettare, mai.
Svariati gli slogan sui cartelloni, altrettanti i cori intonati mentre i pochi chilometri fra Piazza Garibaldi e Piazza Dante diminuivano. Chi semplicemente camminava, chi lottava per tenere il suo striscione più in alto possibile, ma c’è chi ha fatto ancora meglio: ragazzi con guanto e sacchetto raccoglievano quel che era stato gettato a terra. Ecco, stavolta invece di parlarvi di Greta, tanto già la conoscete, mi concentrerò su quei ragazzi. Qualcuno li ha accusati di ricercare attenzione, c’è anche chi è ha affermato che “ogni manifestazione ha successivamente un’agenzia di pulizie dietro che raccoglie i rifiuti” dispiaciuto del lavoro svolto, a suo parere, inutilmente.
Non è vero, e questa non è un’opinione, un gesto come il loro non è inutile. Prendere un sacchetto e dei guanti e raccogliere ciò che è stato gettato in terra è inutile come rimettersi a posto la stanza.
Lo spirito della manifestazione è riassunto perfettamente dall’operato di questi ragazzi. E non dal genio di turno che ad un certo punto se n’è uscito col fumogeno verde. Non da quelli che “lo studente paura non ne ha” e poi buttavano la cicca dove capitava.

Il problema del cambiamento climatico, dell’inquinamento, della situazione precaria nella quale viviamo è che i comportamenti sbagliati sono radicati nella nostra educazione. Sono così numerosi e paiono così innocui se presi singolarmente che non li notiamo nemmeno. Non c’è quindi da stupirsi se stamattina al corteo c’erano soprattutto studenti. Perché non dovremmo manifestare per queste cose, l’educazione ambientale dovrebbe essere insegnata fin dai primi anni di scuola, dovremmo conoscerne le regole come se non avessimo mai visto fare niente di diverso. Ed è anche per questo motivo che la circolare pubblicata lo scorso 23 settembre dal Miur ha sollevato la polemica: “…l’onorevole Ministro esprime l’auspicio che le scuole, nella propria autonomia, possano considerare l’assenza degli studenti per la giornata del 27 p.v. motivata dalla partecipazione alla manifestazione…” e ancora, “Si invitano, inoltre, i Collegi dei docenti a valutare la possibilità che tale giornata non incida sul numero massimo delle assenze consentite dal monte ore personalizzato degli studenti, stante il valore civico che la partecipazione riveste.” Così dice.

Il mio, di auspicio, è che, giustificati o no, gli studenti trovino sempre il modo di manifestare, di far sentire la propria voce. Perché fra 50 anni voglio raccontare ai miei nipoti la storia di come abbiamo scelto di non arrenderci, con tutte le difficoltà che comportava, e non di come abbiamo lasciato che l’incuria, piano piano, goccia dopo goccia, ci uccidesse.

Maria Rossella Capolungo