D come Dissennatore, D come Depressione

D come Dissennatore, D come Depressione

“Quello che ti fa più paura è la paura stessa. Molto saggio, Harry”. Questo è quello che il professor Lupin dice ad Harry Potter dopo aver saputo che il suo molliccio non ha preso la forma di Lord Voldemort, come pensava, ma di un dissennatore. Sì, perché un dissennatore è paura, è terrore, è disperazione. È insicurezza, tristezza, odio per sé stessi. Ti svuota di pace, speranza, serenità, sino a nutrirsi di te “abbastanza a lungo da farti diventare simile a lui…malvagio e senz’anima”. A quel punto non resteranno altro che le peggiori esperienze della tua vita, rimarrai bloccato, paralizzato nell’angoscia del tuo animo, incapace di ragionare, di pensare a qualcosa che non sia il tuo male. Il dissennatore porta una sensazione di opprimente oscurità e quando si presenta “trae un respiro lungo, lento, un incerto sospiro, come se cercasse di respirare qualcosa di più dell’aria”. Certo, perché respira la felicità. La risucchia voracemente dalle sue prede, affamato. Quando Harry lo incontra si sente sopraffatto da un profondo senso di vuoto, avverte il gelo insinuarsi dentro di lui, sotto la pelle, fino al cuore. Anche Ron lo avverte, ma di meno, perché la sua vita è stata costernata da meno traumi, meno dolori, meno perdite. Dice che si è sentito strano, “come se non potesse mai più essere felice”. Non so voi, ma a me tutto questo ricorda qualcosa. Poco prima di leggere la saga del mago più famoso al mondo scoprii online che J.K. Rowling, ai tempi della stesura del primo dei sette libri, aveva sofferto di depressione. I tanti dolori che aveva subito l’avevano fatta cadere in un abisso dal quale non riusciva più ad alzarsi: si considerava un fallimento e spesso contemplava il suicidio. Quando si trasferì in Scozia trasformò questi suoi tristi sentimenti in parole, introducendo nella saga i dissennatori come metafora della depressione. D’altronde entrambi ti colpiscono improvvisamente, ti consumano, ti impediscono di vivere. Ti fanno annegare nella tua disperazione. Remus Lupin dice ad Harry di non vergognarsi della sua eccessiva fragilità di fronte ad un dissennatore, perché essere fragile non significa essere debole. Volersi rialzare invece significa avere coraggio. Bisogna intervenire in qualche modo, non lasciare che la depressione, o il dissennatore, abbiano la meglio. Se i dissennatori vivono a scapito della felicità altrui è giusto aggrapparsi alla nostra di felicità per sconfiggerli. Ed ecco che la Rowling inventa i patronus, gli scudi fatti dei ricordi felici di chi li invoca, in modo che la creatura oscura possa cibarsi di essi, anziché della persona. Allora è questa l’ancora di salvezza…la felicità? Secondo Harry Potter sì, ed anche secondo me. Un dissennatore non può essere ucciso, perché la sofferenza non può essere eliminata del tutto. Può solo essere attutita, controllata, ma non cancellata, perché anche essa ci forgia. È parte di noi, ma non deve diventare solo “noi”. Chiaramente noi babbani non possiamo produrre dei patronus (ahimè), ma possiamo diventare i patronus di noi stessi. Possiamo creare “forze positive, proiezioni delle cose di cui un dissennatore si alimenta: la speranza, la felicità, il desiderio di sopravvivere”. Questa è la definizione che Lupin dà di queste creature-scudo meravigliose, che ti salvano nei momenti più bui. Dobbiamo lasciarci invadere dalla felicità, dall’amore, dall’amicizia. Dalla vita. Perché anche quando tutto sembra andare per il verso storto, ed in questo periodo i dati ce lo confermano quanto le vite soprattutto dei giovanissimi brancolino nel buio, in realtà c’è sempre un barlume di speranza. C’è sempre un patronus, che sia un cervo, una fenice, una lontra, un cavallo, pronto a salvarci. L’importante è trovarlo. Ah, e anche mangiare del cioccolato. Non lo dico io eh, è sempre Lupin a dirlo. Ogni volta che Harry viene assalito da un dissennatore il professore gli offre del cioccolato, perché le sue proprietà migliorano l’umore. “Tieni, mangia questo, ti sentirai meglio”. Grazie Remus, grazie per averci dato un’ottima scusante per poterci ingozzare di cioccolato.

Simona Vigori